BAGHERIA. Mafia, 31 arresti


I boss di Palermo a capo della nuova Cupola


BAGHERIA. In cella vecchi e nuovi boss del potente mandamento di Bagheria. Sarebbero gli uomini che sedevano accanto ai padrini palermitani nel direttorio che aveva sostituito la Commissione provinciale di Cosa nostra. Svelati due omicidi e una raffica di estorsioni. Decine le denunce dei commercianti finiti nella mappa del racket.

PALERMO - La mafia c'è ed è forte, più forte, però, si conferma lo Stato che ha il volto dei carabinieri del Comando provinciale e dei magistrati della Procura di Palermo. Trentuno persone sono state raggiunte da un provvedimento di fermo. Farebbero parte del mandamento di Bagheria, che include anche le famiglie di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia. Rispondono, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione di armi e danneggiamento.
Sono gli uomini della nuova Cosa nostra che, assieme ai boss palermitani, avevano ridato vita alla Commissione provinciale. Un direttorio subentrato al vecchio organismo che non si riuniva più dall'arresto di Totò Riina. La nuova Cupola che tutto decideva in città e provincia. Le indagini dei militari del Nucleo investigativo danno oggi una spiegazione alla stagione dei grandi summit di mafia culminata nell'incontro organizzato il 7 febbraio 2011 a Villa Pensabene. Allora sarebbe stato Giulio Caporrimo, reggente di San Lorenzo, a convocare il direttorio provinciale. Dopo il suo arresto, l'uomo forte sarebbe diventato Alessandro D'Ambrogio, boss di Porta Nuova. Anche lui è finito in cella e c'è l'ipotesi che a subentrargli sia stato un altro pezzo grosso di Porta Nuova. Forse quel Tommaso Lo Presti, arrestato un mese e mezzo fa.
I palermitani avevano capito che bisognava dialogare con i boss della provincia per serrare i ranghi dell'organizzazione. Era già emerso nel 2008 con il blitz Perseo che aveva collocato a Bagheria il cuore pulsante della riorganizzazione. Oggi i carabinieri, coordinati dal procuratore Messineo, dall'aggiunto Agueci, e dai sostituti Malagoli e Mazzocco, tornano a colpire il mandamento bagherese svelando i nomi di chi avrebbe rappresentato la provincia al tavolo del direttorio. Decisivi per riscontrare il quadro investigativo sono giudicati i racconti dei collaboratori di giustizia Sergio Flamia ed Enzo Gennaro.
Nuova mafia, ma vecchi boss. Perché tra i fermati ci sono nomi storici della Cosa nostra che ha dettato legge in un vasto territorio. La stessa Cosa nostra che era stata sconquassata dall'operazione Grande mandamento. Era il 2005 ed iniziò il conto alla rovescia per la cattura di Bernardo Provenzano.
Tra i vecchi boss sempre in auge, dopo avere scontato lunghe condanne, ci sarebbero Giuseppe Di Fiore e Nicolò Greco. Il primo sarebbe il braccio operativo del secondo, considerato la testa dell'acqua. Quando Di Fiore venne arrestato, nel 2005, nel doppiofondo del comodino di casa nascondeva la lista dei commerciante da mungere con il racket. Dieci anni dopo la storia si ripete. Il pizzo lo hanno pagato 44 commercianti. C'è, però, una novità importante: molti, seppure costretti dalle evidenze investigative, hanno ammesso di avere subito le angherie mafiose. E stavolta non bastano le dita di una mano per contarli. Sono una ventina. "Un dato importante, mai accaduto prima", il comandante provinciale dei carabinieri Pierangelo Iannotti. Segno che il territorio, finora omertoso, ha deciso, seppure forzatamente, di ribellarsi contribuendo a svelare i segreti di un fenomeno ancora dilagante. i loro nomi erano finiti nella mappa del racket e nei pizzini sequestrati dai carabinieri.
Nicolò Greco, dunque, forte anche della parentela con il fratello Leonardo, che della mafia bagherese era stato il capo, sarebbe diventato la testa dell'acqua. Dell'elenco dei fermati fanno parte anche altri nomi noti. C'è Carlo Guttadauro - fratello di Filippo e Giuseppe - capo decina di Aspra, che negli anni Novanta reggeva i rapporti con il mondo dell'imprenditoria. Ci sono Giuseppe Comparetto, uomo d'onore di Villabate, ed Emanuele Modica, di Casteldaccia, considerato affiliato alla mafia canadese, che nel 2004 scampò alla morte in un agguato a Montreal. Di recente Modica sarebbe di nuovo finito nel mirino durante i giorni della guerra costata la vita ai narcos canadesi Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel.
E nell'elenco dei fermati c'è pure Emanuele Cecala, originario di Caccamo, già coinvolto nell'inchiesta sul tentato omicidio dell'anziano boss Pietro Lo Iacono. A Modica e Cecala viene contestato l'omicidio di Antonio Canu freddato il 28 gennaio 2005 a Caccamo.
Chiedeva il pizzo senza senza che nessuno lo avesse autorizzato. Così come senza autorizzazione per mettere a segno piccoli furti si muoveva Nicasio Salerno sorpreso nel 2006 mentre tentata di rubare attrezzi agricoli in un casolare a Finale di Pollina. Del tentato omicidio viene oggi chiamato a rispondere Cecala.