I RINGRAZIAMENTI DEL COMITATO CARNEVALE MAZARESE

E anche il IV Carnevale Mazarese è finoto. Be
llo o brutto che sia stato ha comunque regalato a Mazara ed ai mazaresi 5 giornate di gioia e divertimento. 4 sfilate di carri. 1 spettacolo musicale in pzz Mokarta. dj sett in pzz Mokarte e piazza del popolo. Il Carnevale il primo giorno è partiro dalla Madonna del Paradiso. Il secondo da via Sansone vicino l'Avis. il terzo giorno da via Castelvetrano. Il quarto giorno si è svolto il Carnevale dei bambini alla Casa del Volontariato di Mazara in via Don Primo Mazzolari 101. Il quinto giorno il Carnevale Mazarese 2016 si è concluso a Borgata Costiera. Quindi nel 2016 il Carnevale di Mazara ha toccato quasi tutti i quartieri di Mazara. Non ci rimane che ringraziare l'amministrazione Comunale, l'Avis, l'Auser, l'Unac, l'Anvvfc, l'AIpS, Rivestarredil, tutte le Associazioni della Casa del Volontariato di Mazara, le Scuole di ballo, i Volontari del Servizio Civile dell'UIC Rappresentanza Comunale di Mazara, tutti i volontari ed i cittadini di Mazara che hanno partecipato a vario titolo alla riuscita di questo Carnevale Mazarese 2016 ed infine il Comitato Carnevale Mazarese. Grazie a turti e scusate se nell'elenco dimentico a citare qualcuno.
F.to Ernesto Certa
Direttore Artistico
Carnevale Mazarese 2016.

Dieci Poesia di Alessia Maltese


Duole l'anima
lei che strugge
controvento come
l'occhio torce ove
il sole bagna le foglie,
e con esso rami
secchi sembianti.
Dogliono l'anima,
e sei triste.
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Duole l'anima
lei che strugge
controvento come
l'occhio torce ove
il sole bagna le foglie,
e con esso rami
secchi sembianti.
Dogliono l'anima,
e sei triste.
---------------------------------------
Come polvere
su l'angoli
di stanze,
sole.
Posatasi in
parvenza de i
camini del cuore.
Fuma, solitario.
Ha esploso
quel ch'ha dentro.
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Dammi la mano
disse il dolore
ad una sedia fuori dal sole,
stava suonando
la sua solitudine
nuocendo il gelo del suolo supino.
È una canzone,
giunge all'orecchio.
Ha detto al dolore, d'essere vivo.
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Sventrare l'anima
come all'autunno
petali al fiore
coperta.
Sventrare il cuore
come all'inverno
ghiacci di monti
coperta.
Sventrarsi,
come i sogni.
All'ora di risveglio.
--------------------------------
Ed io, che credo
la pelle e questo
corpo,
nonché ospiti
dell'anima.
Poiché questa
giammai inverso
ha scalfito
d'essi immagine.
Ha bagnato l'uomo
di lacrime caverne.
E l'ha tinte,
in rosso amore.
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Sembrare mattine
uomini in fame
di stelle.
Solo celeste
chiudono i ganci,
appesi nel cielo
di notte soltanto.
A pesi, nel cuore.
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Sei pergamena
agli scrivani
d'amor fecondo
grida.
T'avverto
al giorno
essiccare fiato
soffre.
Sempre.
Cuci dolori,
ed io appendo
al chiodo.
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Grotteschi, gli uomini.
Incavati, come rocce.
A pitturarne, forme.
La natura, de l'anima.
Di tanto, in tanto.
Impigliati, tra i solchi.
Sprazzi gialli, di luce.
Ma se guardi, da vicino.
Ne rimane pure, la rugiada.
Grotteschi, sui telai del mondo.
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Se stendi
parallele,
le dita.
Al dorso
d'un mare
increspato.
Le rughe
d'uomini
abissi già
uccisi.
Hai le mani
d'onde,
e scrivi poesie.

Alessia Maltese

Un itinerario dall’architettura greca ai nostri giorni

Un itinerario dall’architettura greca ai nostri giorni

di Piero Di Giorgi



L’architettura, come l’arte e tutti gli altri sistemi simbolico-culturali in generale, riflettono il modo di sentire e di abitare dell’epoca in cui si esprime. Tenere viva la memoria del passato è la precondizione per conoscere le nostre radici, per capire chi siamo oggi. Senza la memoria del passato non avremmo alcuna identità.

Sin dall’avvento dell’homo sapiens, l’umanità si è sempre interrogata sul senso della vita  e della morte. Da sempre l’uomo si è posto domande fondamentali riguardanti il chi siamo e donde veniamo e sull’origine dell’universo. L’uomo preistorico aveva una concezione animistica e mitologica, mediante la quale creava un mondo magico, dominato da dei e compiva riti propiziatori per accattivarsi la necessaria protezione. In una visione antropomorfica, gli dei erano visti con sembianze umane e dotati di passioni terrene ed entravano in comunicazione con gli uomini tramite i sacerdoti, veri depositari del sapere. Gradualmente alle religioni politeiste si sono sostituite quelle monoteiste e successivamente alle teogonie si sono affiancate le cosmogonie.

L’uomo, proiettandosi verso orizzonti metastorici, ha creato una cultura del sacro. E poiché la nascita delle religioni, da religere, significa creare legami, nella fattispecie con un’entità soprannaturale, costruì anche dei luoghi fisici dove comunicare con il proprio Dio.

L’artista Pino Giacalone, pittore neofigurativo ma non fotografo della realtà, poiché anzi la trascende con venature e tracce talora surreali e anche metafisiche, già docente di disegno e storia dell’arte, ha incantato il numeroso pubblico presente al museo ornitologico di Mazara del Vallo con una conferenza dal titolo “Polisemia della chiesa: dall’arte greca ai giorni nostri”.

Nella confluenza tra più significati, stili e tradizioni – esordisce Giacalone – la chiesa occupa un posto privilegiato, in quanto è capace di addensare in sé tanti significati: luogo del sacro, essa è, al tempo stesso, testimonianza del potere religioso e della sua relazione con quello secolare, espressione dell’immaginario collettivo e testimonianza di un momento di evoluzione dell’arte. Le chiese di Mazara sono, per il relatore, lo spunto, l’occasione per aprire lo sguardo verso il rapporto tra la concezione del sacro e lo spazio della struttura architettonica. Così il tempio greco esprime l’impossibilità dell’uomo di accedere allo spazio della divinità. La basilica romana, nella sua grandiosa monumentalità, esprime autonomia rispetto all’uomo e, in un certo senso, la sua inaccessibilità alla dimensione del sacro. La chiesa cristiana riduce le proporzioni e indica un percorso verso l’altare, dando centralità all’uomo. Oppure, con riferimento a Mazara, la cattedrale arabo-normanna, come simbolo del potere normanno in sintonia con il papato e S. Maria delle Giummare, come espressione di una religiosità popolare. Scendendo nel particolare, la facciata della chiesa cristiana – sottolinea Pino Giacalone – assolve a una funzione diversa nelle diverse epoche storico-culturali. Se le chiese cristiane primitive annunciano un itinerario di rigore, le chiese del periodo umanistico-rinascimentale, con le facciate equilibrate e simmetriche, rappresentano e annunciano un itinerario spirituale in cui la ragione costituisce il criterio del sacro, così come le facciate barocche esprimono un cammino di libertà e d’immaginazione, ma anche di festa. Anche all’interno, le chiese suggeriscono, secondo le epoche, “un cammino essenziale, rigoroso, senza distrazioni, oppure un itinerario ricco di momenti di riflessione, in compagnia dei santi, che hanno già compiuto il loro cammino”. Questi caratteri dell’edificio cristiano sono comuni, nelle varie epoche, in tutti i luoghi e quindi vale anche per le chiese di Mazara del Vallo, che non sfuggono a questa regola, come si può constatare nella tipologia dei suoi edifici sacri, con tutti i modelli architettonici più significativi della storia dell’arte.

Le chiese mazaresi illustrano l’evoluzione dei gusti architettonici ed estetici, dal periodo normanno a quello barocco, ma alcune di esse sono contaminate anche dagli stilemi architettonici del passato, di cui la cattedrale costituisce un esempio concreto di commistione
e di sintesi singolare dello stile romanico (equilibrio di volumi e di proporzioni) e della tradizione architettonica bizantina, araba e normanna.

I normanni, nel XII secolo, avevano portato in Sicilia il gusto per lo stile gotico, dinamico in tutte le sue manifestazioni, ma lo splendore dell’architettura siciliana cambiò i loro gusti e il gotico ha assorbito elementi dell’architettura araba. E ciò è stato possibile anche grazie a una grande tolleranza dei normanni verso i musulmani, favorendo una coesistenza pacifica. Proprio per l’atteggiamento di cooperazione e di tolleranza dei normanni, nasce lo stile noto come arabo-normanno, in cui i motivi del romanico, introdotti dai nuovi conquistatori, riassumibili in equilibrio e consistenza ma anche nella dinamica del gotico, si fondono con quelli dell’architettura araba, più duttile e armonica.

La chiesa di S. Nicolò regale (1150), con tre absidi e tre finestre, costruita quasi in contemporanea con S. Giovanni degli eremiti a Palermo e con la chiesa della santissima trinità a Castelvetrano, è l’espressione più genuina di questo connubio arabo-normanno. Dopo il Concilio di Trento, l’architettura riflette, nella sua razionalità e simmetria, il sentimento del tempo, rispecchia lo spirito del Concilio di Trento e la volontà di reagire allo riforma protestante, che voleva chiese spoglie e disadorne.

Il patrimonio di edilizia sacra più consistente si condensa in epoca barocca, tra il XVII e il XVIII secolo. Non ci troviamo più di fronte a elementi geometrici semplici e solenni, che danno l’idea di uno spazio definito, ma di fronte a un insieme di curve, sporgenze e rientranze che offrono una visione non definita e dinamica dello spazio. L’esplosione del barocco contrappose alle elaborazioni elaborate e artificiose e alle eleganze esteriori del manierismo, ma anche al senso di mistero e di equilibrio del rinascimento, le sue esaltanti esuberanze, le sue spettacolari dinamicità e i suoi slanci.

Ciò è avvenuto per la chiesa della Martorana e per la cattedrale arabo-normanna di Palermo ma anche per  la cappella palatina nel palazzo dei Normanni, fusione armonica delle migliori tradizioni romaniche, bizantine e islamiche; e anche per S. Giovanni degli Eremiti, fatto erigere da Ruggero II su una moschea musulmana e nell’abside della cattedrale di Cefalù.

A Mazara, nota anche come città delle cento chiese e dei cento monasteri, è raro trovare una chiesa la cui costruzione, pur avvenuta intorno all’anno mille, non sia stata rimaneggiata in stile barocco. Ne sono esempio la cattedrale, la cui costruzione iniziò nel 1093 ad opera del conte Ruggero, costruita su una moschea e completamente trasformata in stile barocco verso la fine del 1600, e che conserva della primitiva costruzione le mura del transetto, la finestra all’esterno dell’abside e un affresco raffigurante il Cristo pantocratore, come sul catino dell’abside del duomo di Cefalù e nella cupola della cappella Palatina. Lo stesso è avvenuto con la chiesa di S. Michele e con la chiesa di S. Francesco, originariamente gotico-normanna, con annesso il convento francescano del 1216, e ricostruita  nel 1680 in stile barocco. E ancora S. Maria di Gesù, rifatta in barocco, conserva un portale d’ingresso in stile arabo-normanno. Il barocco siciliano è sovrano anche nella chiesa di S. Bartolomeo, sorta nel 1601, con il suo campanile dinamico e sinuoso e nelle chiese della Madonna del paradiso e di S. Veneranda con i due svettanti campanili.

Il Giacalone, a tal proposito, evidenzia opportunamente come il pregiudizio sull’arte barocca, come “arte brutta”, sulla scia del giudizio tranchant che ne aveva dato Benedetto Croce, è stato oggi superato, rivalutando l’arte barocca e riconoscendole uno stile e una categoria estetica, un modo diverso di interpretare il bello. La proposta che fa l’artista Giacalone è di ricostruire un itinerario significativo di tutte le principali innovazioni del barocco, attraverso una risistemazione delle chiese di quel periodo, di cui alcune presentano un grande degrado.

Dopo l’epoca del barocco prevale nelle nuove chiese uno stile eclettico, con una certa prevalenza di motivi classici.

In chiusura, il relatore offre al pubblico presente una dissertazione colta sulla differenza tra il gotico francese e quello italiano, influenzato dalla forte tradizione classico-romanica, che lo
rende più equilibrato e meno verticale delle strutture gotiche d’oltralpe.

Mentre ascoltavo la conferenza del maestro Giacalone balenavano nella mia mente alcune delle sue opere, in particolare quelle che raffigurano le chiese e i palazzi della città e pensavo che anche lì, il tema di fondo era quello della memoria, non intesa come nostalgia, rimpianto, ma quella che vuole strappare alla damnatio memoriae il patrimonio artistico del passato, carico di storia antica e di prestigiosi monumenti e chiese della sua e nostra città, nella consapevolezza che il passato è il presente ricordato e che senza la memoria del passato non c’è futuro.

Mi veniva in mente anche che la stessa operazione, ora affidata al linguaggio verbale, il relatore l’aveva già compiuta attraverso il linguaggio pittorico, quasi a volere immortalare o lasciare traccia di quel che potrebbe andare perduto, per incuria o per difficoltà di fruizione, privandone le generazioni future. Ed è questa la denuncia che Pino Giacalone compie con il garbo che gli è consustanziale. Egli vuole onorare la sua città natale e, perché no, immortalare se stesso come il pittore che ha tramandato ai posteri i monumenti della sua città, qualora una irreparabile catastrofe naturale o il vizio assurdo dell’abbandono potesse ripetere quel che è avvenuto già con la demolizione del castello normanno o come rischia di fare il residuale arco normanno.