di Vincenzo Leone - 4 novembre 2014
"Non ci sono rimaste buone opzioni in questa guerra". Il 20 novembre del 2006 l'allora senatore Barack Obama commentava così – in un discorsotenuto al Chicago Council on Global Affairs – la situazione in Iraq dopo tre anni di insuccessi strategici che avevano trascinato il paese “sempre più verso il caos”. La svolta, un mese dopo, arrivò con la dottrina del surge: ventimila soldati in più sul campo impiegati a protezione della popolazione civile, delega della sicurezza di intere aree a tribù locali addestrate ad affrontare al-Qaeda e superamento delle divisioni settarie tra sciiti e sunniti tra le fila dell'esercito regolare. In due anni Baghdad passò dai cinquanta attentati di media al giorno ad essere sotto il controllo del comando statunitense. La nuova strategia militare diede ottimi risultati tanto che il generale Petraeus – dal 2007 al 2008 comandante delle forze armate statunitensi in Iraq – poteva permettersi di girare a piedi per i mercati della capitale irachena, e lo faceva senza giubbotto antiproiettile. Otto anni dopo in Iraq è di nuovo caos, Barack Obama è a metà del suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti e Frederick W. Kagan - mente del surge del 2007 con il suo“Choosing Victory” - ha un nuovo piano. Sconfiggere l'ISIS mandando truppe di terra in Iraq e Siria.
A rivelare modalità e dettagli operativi della strategia è unreport pubblicato dall'Institute for the Study of War - istituto di ricerca no-profit con sede a Washington – e realizzato da Frederick Kagan insieme alla moglie Kimberly, presidente e fondatrice dell'ISW. Entrambi in passato hanno insegnato all'accademia militare di West Point ed entrambi hanno realizzato studi e documentari sul surge del 2007 e del 2008, operazione di cui Frederick Kagan si autodefinisce uno degli “architetti intellettuali”. Con loro ha lavorato anche Jessica Lewis, dal 2012 ricercatrice all'ISW dove è arrivata dopo otto anni di attività d'intelligence militare nell'esercito, di cui quasi tre passati in missione tra Iraq e Afghanistan.
Il successo della campagna anti-ISIS non può prescindere dall'invio di un massiccio contingente di truppe di terra, è la tesi centrale del report. L'opzione suggerita da Kagan prevede l'impiego di 25,000 soldati americani coperti da unità navali e aeree. Nello specifico si tratta di una Combat Aviation Brigade – brigata d'aviazione polifunzionale – formata da 3,300 soldati e da elicotteri da trasporto, attacco e ricognizione dotati di capacità MEDEVAC, sigla militare che sta ad indicare missioni di elisoccorso. L'esercito americano dispone attualmente di 13 CAB – dal 2019 potrebbero essere dieci – e in media ciascuna di queste divisioni conta 2,700 uomini e 120 mezzi aerei. A fianco di queste unità di combattimento vanno schierati due battaglioni in allerta QRF – acronimo che sta per Quick Reaction Force – ovvero unità in grado di entrare in azione con un preavviso di quindici minuti. Una sorta di “911 globale dei marines”, come li ha definiti il generale James Amos – dal 2010 comandante dei marines – in un'intervista al Wall Street Journal. Da un mese il Pentagono ne ha schierati 2,300 nel vicino Kuwait, pronti a dare supporto logistico al personale militare americano – circa 1,200 soldati – impegnato in Iraq all'addestramento dell'esercito iracheno.
Ma non basta. Nei piani di Kagan bisogna invece schierare un battaglione QRF in Iraq e uno in Siria, pienamente operativi sul campo grazie al supporto di altri quattro battaglioni, con l'invio quindi in tutto di 7,000 uomini per le operazioni QRF. E altri uomini saranno necessari per presidiare i campi base temporanei durante l'avanzata verso le città controllatedalle milizie sunnite dell'ISIS. Non vengono specificati i numeri delle truppe SOCOM – le truppe speciali – ma “ne serviranno diverse centinaia”, scrive Kagan. Che invece ha le idee chiarissime sulla necessità di “stabilire e mantenere basi americane in Iraq e Siria” per il supporto logistico alle truppe.
Servono FOBs – basi operative avanzate - e FARPs – punti di rifornimento aereo avanzato – preferibilmente distanti dai centri abitati in modo tale da minimizzare il coinvolgimento di civili in caso di attacco. Le basi nel Kurdistan iracheno, in Giordania e in Turchia sono sufficienti per garantire sostegno per operazioni in Siria meridionale, lungo il confine con la Siria settentrionale e nella provincia di Ninive. “Ma le province di Anbar, Raqqa e Deir ez-Zour sono troppo lontane da quelle basi per poter compiere operazioni MEDEVAC o garantire copertura QRF”, si legge nel report. Tempi di volo troppo lunghi ma sopratutto “sarebbe da irresponsabili far volare i nostri piloti su tali distanze su terreni in mano al nemico, senza avere la possibilità di atterrare o di fare rifornimento in caso di emergenza”. E' possibile inoltre che si renda necessario spostare queste basi periodicamente, per ragioni di sicurezza e per non dare punti di riferimento al nemico. Un nemico “serio” l'ISIS che si muove velocemente ed è in grado di collocare mine anti-carro e di colpire con artiglieria anti-aereo, scrive Kagan.
Secondo Kagan c'è stato un errore di valutazione a monte, ed è stato quello di considerare l'ISIS semplicemente come gruppo terroristico. “Non lo è. È un'insorgenza che ha avuto parziale successo – si legge nel report dell'ISW – e che oggi controlla e governa perpetuando una narrativa vincente che alimenta la Jihad globale”. Qui l'accusa si fa diretta al presidente Barack Obama, reo secondo Kagan di aver sottostimato in un primo momento la portata della minaccia. Fino al gennaio scorso infatti, il presidente Obama in un'intervistaal New Yorker diffidava dalle potenzialità dell'ISIS in questi termini: “Se al college una squadra di riserve indossa la maglia dei Lakers, questo non li rende Kobe Bryant”. Nove mesi dopo Obamaannunciava, incalzato dagli eventi e a tre mesi dalla fondamentale presa di Mosul da parte dello Stato Islamico – il 10 giugno scorso - il suo piano per “indebolire e distruggere” l'ISIS. Tra i vari punti una promessa: “non ci faremo trascinare in un'altra offensiva di terra in Iraq”, dove dal 2003 al 2014 sono stati uccisi 4,489 soldati americani, 3,455 contractor – pagati dagli Stati Uniti - e 12,096 tra esercito regolare iracheno e polizia locale. Al di là dei numeri, a detta di Kagan è questo l'altro grande errore da rimproverare al presidente Obama.
Come sintetizzato sul Los Angeles Times in un articolo a doppia firma con la moglie Kimberly, la strategia anti-ISIS degli Stati Uniti si è rivelata “too much air, not enough boots”. Troppi raid, e pochi soldati sul campo. E la campagna aereaestesa il 23 settembre anche in Siria - attacca Kagan - non sta funzionando: “A dispetto dei bombardamenti, l'ISIS ha lanciato una serie di offensive in Iraq,guadagnando terreno nella provincia di Anbar, così come in Siria”, si legge nell'articolo. Una posizione condivisa anche dal Wall Street Journal che mette in discussione una strategia che dà risultati solo nella zona del Kurdistan iracheno, con i raid dall'alto a spianare la strada ai peshmerga curdi. Si fa poco sul piano politico, e rimane troppa distanza tra le fazioni sunnite disposte a collaborare con il governo centrale guidato dal primo ministro sciita al Abadi. Un punto non da sottovalutare, dato che il successo dell'operazione che da più di un mese ha in mente Frederick Kagan passa inevitabilmente – come già nel 2007 - dagli “sforzi politici” di un governo iracheno che superi le divisione settarie, e dal non sottovalutare la presenza in Siria di altri gruppi terroristici in Siria - come Jabat al-Nusra – definiti pericolosi al pari dell'ISIS.
“Bisogna avere pazienza, ma la strategia funziona”, fanno saperedallo U.S. Central Command. Ma l'operazione Ineherent Resolve che costa agli Stati Uniti 8 milioni e mezzo di dollari al giorno, si trascina dietro uno scetticismo che lontano dagli ambienti militari appare trasversale. A cominciare dai sondaggi, che registrano come due americani su tre dubitano che Stati Uniti e alleati abbiano un un efficace e chiaro obiettivo nella campagna militare contro l'ISIS. Il 57% rimane tuttavia a favore dell'intervento in Iraq e Siria mentre l'opzione avallata da Frederick Kagan di un invio di truppe di terra convince il 39% degli intervistati, che diventano maggioranza – 57% - tra i repubblicani. È a loro che Frederick Kagan si rivolge quando dice che è “ora di provare qualcos'altro” dopo i fallimenti degli ultimi anni, per spingere il presidente Obama a mandare truppe di terra a combattere l'ISIS. Il senatore repubblicano John McCain sta dalla sua parte, danostalgico sostenitore del surgedel 2007 punta ancora oggi sulla urgenza di un cambio di strategia in Iraq e Siria.
Se il suo partito dovesse uscire vincitore dalle elezioni di mid-term – come dicono gli ultimi sondaggi NBC\WSJ - con la maggioranza anche al Senato, il partito repubblicano controllerà entrambi i rami del Congresso e potrà fare maggiore pressione sul presidente Obama. Ma non finisce qui. In caso di vittoria del GOP a John McCain a gennaio sarà riservata - per motivi di anzianità - la carica di presidente della Senate Armed Services Committee, potente ed influente commissione che ha la giurisdizione sulle forze armate degli Stati Uniti. Il report dell'ISW potrebbe così diventare “una buona opzione per questa guerra” e a Frederick Kagan, dopo le elezioni del 4 novembre, potrebbe anche arrivare una telefonata direttamente da Washington.
Fonte Altd